Nulla è come sembra. La Storia di Grimilde
(rivisitazione immaginaria della storia della Regina Cattiva)
Grimilde non è nata principessa, nemmeno per sogno.
E non è nemmeno nata austera. Strano a dirsi, non è neppure nata strega. Per lo meno, non di quelle streghe che si chiudono in pulciosi sotterranei a rovistare tra alambicchi e code di rospo.
Viveva in un piccolo regno, lontano lontano, pacifico e prospero.
Suo padre, Artemisio, era mercante di stoffe pregiate, e lei poteva godere di un’agiatezza che a molte ragazze sue coetanee era negata.
Sua madre Clotilde era una donna piacente.
Non eccezionalmente bella, non straordinariamente affascinante, ma bella quel tanto che era bastato ai suoi genitori a trovarle un marito discretamente ricco che le offrisse comodità e agi.
Era però purtroppo una donna ambiziosa e fredda. Essa aveva desiderato fin da bambina una vita di sfarzi ed eleganza, si vedeva sposata ad un gran signore nobile e ricco, e la vita della moglie di un mercante mal le si adattava. Aveva la convinzione che la bellezza fosse tutto quello che era necessario ad una donna per procurarsi un marito che soddisfacesse ogni suo desiderio (e lei desiderava gioielli e diademi) ed in questa incrollabile convinzione aveva cresciuto la piccola Grimilde fin dai suoi primi giorni di vita.
Grimilde in verità era una bimba timida e gentile.
Le piaceva giocare nel cortile con i cani, andare in cerca di fiori e piante, cantare.
Aveva molti amici, tra i bambini del vicinato, o almeno li aveva avuti fino a quando, a 5 anni, sua madre aveva deciso che era ora di farene una donnina.
Clotilde la riprendeva di continuo, la teneva lunghe ore seduta alla toletta a pettinarsi i lunghi capelli neri, ad ammorbidirle le mani con unguenti e intrugli, la costringeva dentro vestiti dai corpetti così severi e rigidi che a malapena respirava. Compostezza, rigore, silenzio, calcolo, strategia prendevano il posto di carezze baci e affetto nelle lunghe giornate solitarie della piccola Grimilde.
- Tu sei bella, mia piccola principessina – le ripeteva la madre di continuo – e devi sfruttare questa dote nel migliore dei modi possibili. Tu sposerai un principe o un re e avrai tutto quello che io non ho mai avuto.
A Grimilde questo non interessava minimamente, ma a furia di insistere, la madre aveva cominciato ad intaccarene la gentile intelligenza e a farne una cacciatrice di dote.
Un giorno, poteva avere circa 17 anni, Grimilde stava passeggiando ai margini del bosco che circondava da tre lati il piccolo villaggio in cui viveva. Proprio come accade nella migliore tradizione delle fiabe che si rispettino, uno squillo di tromba e un rumore di zoccoli la distrasse dai suoi pensieri. Si fermò e davanti a lei sfilarono lentamente una dozzina di cavalli bianchi, ognuno col suo bravo cavaliere e stendardo, che precedevano una bellissima carrozza.
Grimilde si accostò al ciglio della strada e accennò un lieve inchino.
Dopo breve la carrozza si fermò. Il paggio si affrettò ad aprire la porta, e ne uscì un uomo di mezza età, riccamente vestito, e con una sfolgorante corona in testa.
- Chi sei, ragazza mia? – chiese
- Grimilde, Sire. Sono la figlia del mercante di stoffe.
-Conosco tuo padre, Grimilde. Vorrei parlargli. Vuoi farmi l’onore di accompagnarmi da lui, sulla mia carrozza?
Grimilde non credeva alle proprie orecchie. Si inchinò nuovamente e senza parlare salì sulla carrozza del RE.
Mia madre sarà fiera di me, pensava tornando verso casa. Quando mi vedrà arrivare con la carrozza del Re, non crederà ai propri occhi. Forse mi abbraccerà persino, o mi sorriderà.
Ma nulla di tutto ciò accadde.
Quando arrivarono davanti alla casa del mercante di Stoffe, tutta la servitù si mise in subbuglio.
Sebbene Sua Maestà ripetesse di non agitarsi o non preoccuparsi, tutti sembravano aver perso la testa. Tutti tranne Clotilde, che mantenne una freddezza e una compostezza granitiche.
Il Re fu fatto accomodare nel salotto buono, ci fu un gran andirivieni di servitori per qualche momento.
Poi, silenzio.
Dopo un po’ Clotilde uscì dal salotto e salì in camera di Grimilde e ne scese poco dopo seguita da un servitore che trasportava un enorme baule.
Il baule fu caricato sulla carrozza del Re.
Quando Artemisio uscì dal salotto accompagnando il Re, furono spese solo poche parole per spiegare a Grimilde quello che stava accadendo.
- Sua maestà ha chiesto la tua mano, mia cara - le disse il padre con un sorriso infelice - Partirai adesso stesso.
Grimilde non credeva alle proprie orecchie, ma l’espressione seria di suo padre la dissuase dal fare commenti. Lo abbracciò salutandolo, e si voltò per salire sulla carrozza.
Clotilde era in piedi davanti la porta di casa, la ragazza fece per avvicinarsi ma lei si scostò. Così Grimilde partì verso il suo destino senza il conforto di un abbraccio di sua madre, che restò li, impalata, a guardarla, con un’espressione arcigna e severa, senza un sorriso e senza una benedizione.
Come se fosse invidiosa.
Grimilde non era la prima moglie del Re
Egli aveva sposato anni prima una giovane nobile dei dintorni, che aveva molto amato, e dalla quale aveva avuto una bambina. Disgraziatamente, era morta dandola alla luce, e così la piccola Beatrice era cresciuta senza il bene dell’amore di sua madre, proprio come la sua giovane matrigna. Era una bambina bellissima, con i capelli corvini, le labbra rosse come rose e una carnagione talmente candida che tutti a palazzo dicevano che era bianca come la neve, e avevano dimenticato il suo vero nome.
Aveva cercato di affezionarsi alla sua nuova mamma, ma Grimilde non era in grado di capire come comportarsi con una bimbetta di appena 4 anni in cerca di affetto, e pertanto l’aveva tenuta a distanza.
La piccola era un poco viziata, a voler essere del tutto onesti. Suo padre il Re non le negava niente, e questo a Grimilde dava enormemente sui nervi. Non poteva sopportare di sentirla piangnucolare, ne di vederla nei suoi abiti costosi e sempre nuovi, o cavalcare i molti pony che possedeva, o giocare con le innumerevoli bambole che le venivano continuamente portate in dono.
Non avendoavuto una madre amorevole, non ci si poteva certo aspettare che fosse amorevole con una figlia. Anzi, una figliastra.
La vita di Grimilde a palazzo non fu minimamente come se l’era immaginata.
Quando era stata portata via da casa sua all’improvviso con la prospettiva di sposare il Re, si era consolata immaginando grandi feste danzanti, dame riccamente vestite, cavalieri galanti e una vita piena di impegni e di divertimento.
Questo era avvenuto, in effetti, ma era durato soltanto per circa 6 mesi. Il Re aveva molti impegni, non era mai a palazzo, e presto la sua nuova giovane moglie non era stata più al centro dei suoi pensieri. Tutto sommato, l’aveva sposata principalmente per dare una madre a Biancaneve, e i suoi pressanti impegni non gli consentivano di comportarsi da padre premuroso e marito gentile.
Così Grimilde era stata dimenticata nella più sfarzosa ala del castello, circondata da servitori, sete, broccati e prelibati manicaretti, ma disperatamente sola e senza amore. Le sue giornate trascorrevano tra la toletta (la vecchia abitudine di sua madre di farle spazzolare i capelli a lungo non l’aveva mai abbandonata) e la finestra, dalla quale spiava la vita della corte e la piccola Biancaneve, e tutti le sembravano più felici e fortunati di lei.
Il suo cuore si stava definitivamente indurendo. Forse, se avesse potuto avere una figlia sua, le cose sarebbero andate diversamente.
Biancaneve era bella, molto bella, forse persino più bella di Grimilde, la quale - memore dei lunghi anni di indottrinamento matreno - non poteva sopportare che qualcuna la superasse in beltà.
Possedeva uno specchio magico che custodiva gelosamente lontano dagli sguardi altrui, l’unico dono di sua madre; esso le rimandava costantemente l’immagine della più bella del reame, cosa che costituiva il suo unico conforto alla solitudine.
Fino al giorno in cui la magia le disse che Biancaneve sarebbe diventata presto più bella di lei. Questo accadde quando Grimilde era Regina ormai da oltre 10 anni, e Biancaneve si stava affacciando alla vita come una rosa che sboccia.
Oh, non posso sopportarlo – pensava Grimilde, che non aveva mai avuto altro che la sua bellezza. – Non posso tollerarlo, quella piccola inutile smorfiosetta. Devo porre rimedio a questo, devo cambiare questa situazione. IO sono la più bella, lo sono sempre stata e lo sarò sempre!
Così giorno e notte Grimilde si arrovellava per trovare il modo di liberarsi di questa ingombrante figliastra ormai quindicenne. Non passava giorno che a palazzo non giungessero principi di questo o quel reame, attirati dalla fama della bellezza di Biancaneve, per chiederne la mano. Biancaneve era cortese con tutti, ma non accettava nessuno. E questo diede a Grimilde l’idea giusta. Lei stava cercando il modo di liberarsi di una bambina, ma era la donna che invece avrebbe dovuto colpire. Avrebbe ucciso la bambina e allontanato la donna con un unico ingegnoso colpo.
Convocò il suo più fidato guardiacaccia e gli disse:
- Mio prezioso amico, ho da affidarti un compito molto delicato e molto importante. Stasera dirò a mia figlia che desidero che colga dei fiori selvatici per abbellire la tavola da pranzo. Domani la condurrai nel folto del bosco per coglierli e una volta li…
- … dovrò ucciderla, maestà, e riportartene il cuore in uno scrigno? – chiese il guardiacaccia impaurito dallo sguardo penetrante della regina
- Ucciderla? Ti ha dato di volta il cervello? Certo che no! Ma dovrai abbandonarla al suo destino. Desidero vederti tornare domani sera entro il tramonto, solo.
Il guardiacaccia obbedì. La mattina seguente, lo vide partire a cavallo seguita dalla principessa, che si voltava a salutarla con la mano. Appena furono fuor di vista, Grimilde tornò nei suoi appartamenti e approfittando degli insegnamenti ricevuti da bambina da una anziana donna che abitava poco lontano dalla sua casa, preparò un filtro d’amore. Un filtro potentissimo. Un filtro che avrebbe compiuto il destino di Biancaneve, eliminando definitivamente la bambina che albergava ancora in lei e togliendole definitivamente dai piedi – così sperava Grimilde – la donna che Biananeve stava diventando velocemente.
Come tutti sanno, di questo filtro fu imbevuta una mela e alcuni giorni dopo, Grimilde travestita si recò nel bosco, alla ricerca della figliastra.
La trovò in una piccola e graziosa casetta, abitata da una famiglia di contadini che avevano 7 figli.
Biancaneve era stata accolta con affetto e si prodigava aiutando la madre di tutta quella figliolanza nelle faccende domestiche (poiché nonostante fosse una principessa, aveva ricevuto l’istruzione che si conviene a una ragazza per bene).
Grimilde bussò alla porta. Sotto le mentite spoglie di una anziana signora stanca ed assetata, entrò in casa non riconosciuta, e offrì alla giovane la mela incantata, in cambio di un bicchiere d’acqua.
Biancaneve la mangiò. Non morì, non svenne, non le capitò nulla che si potesse percepire a prima vista.
Ma il filtro era veramente potente: si sarebbe rafforzato fino al sorgere della prossima luna, e avrebbe agito facendo innamorare Biancaneve del primo essere umano che avesse incontrato dopo quel momento.
Grimilde era soddisfatta e se ne andò: era probabile che si sarebbe trattato di uno scialbo contadino, o di un vagabondo. Qualcuno che avrebbe comunque condotto Biancaneve diventata adulta su strade ben diverse e ben lontane da quelle di Grimilde.
Ed è qui che il Destino rimescolò le carte e fece il suo capolavoro.
Bisogna sapere che alcuni anni prima, Clotilde era improvvisamente morta a causa di una caduta da cavallo. La notizia era stata portata a Grimilde dal padre stesso, ma lei non aveva provato dolore per la morte della madre ne piacere nel rivedere Artemisio. Così lui se n’era andato, tristemente, e lei non l’aveva mai più rivisto. L’inverno successivo Artemisio si era risposato, scegliendo come moglie una donna straniera, vedova e di modi gentili che aveva un figlio ormai quasi ventenne, Rupert. Avendo perso la sua unica figlia, Artemisio aveva accolto questo giovane con gioia, e ne aveva fatto il suo erede, insegnandogli il mestiere di mercante.
E la sorte - meravigliosamente ironica e beffarda - volle che nella prima sera di luna piena, fosse proprio il giovane Rupert a bussare alla porta della piccola casa nel bosco, di ritorno da uno dei suoi lunghi viaggi d’affari, in cerca di ristoro e riparo per la notte.
Il resto, come si dice, è storia.
Il filtro agì prontamente, e Biancaneve cadde innamorata di quel giovane mercante a prima vista. Egli, pur non sapendo minimamente chi lei fosse, non credette alla propria fortuna, che l’aveva portato nella vita di una giovane donna tanto bella e gentile; il giorno successivo la condusse con se nella casa del mercante di stoffe annunciando che si sarebbe sposato presto.
Quando Artemisio vide chi era la promessa sposa del suo figliastro, ne fu talmente sorpreso che a momenti svenne. Gli parve dunque conveniente raccontare la storia della sua fredda moglie e della sua piccola sforgunata Grimilde. La famiglia del mercante parlò e confabulò tutta la notte insieme alla giovane principessa, ed infine albeggiava quando tutti capirono che dietro a questa ingarbugliata situazione non poteva esserci che la mano della regina, la quale credendo di fare il male aveva invece aperto le porte ad un incommensurabile bene.
Tutto andò per il meglio. Il matrimonio tra Biancaneve e Rupert fu celebrato in pompa magna di li a una settimana, e perfino al palazzo reale si ebbe notizia di una festa tanto gioiosa. In capo ad un anno la vita degli sposi fu allietata dalla nascita di una bimba, manco a dirlo bellissima lei pure, cui venne dato il nome di Alba.
Fu il giorno del primo compleanno di Alba che Biancaneve partì alla volta del palazzo di suo padre.
Il Re, naturalmente, era all’estero per alcuni importantissimi incontri diplomatici, ma lei era li per Grimilde.
Fu fatta accomodare nel salotto della Regina, e quando le due donne furono l’una di fronte all’altra, nessuna delle due seppe cosa dire.
Grimilde era sconcertata da tanta impudenza, che quella piccola intrigante avesse osato arrivare fin li, dentro i suoi appartamenti privati, bella più che mai e radiosa come solo una madre può essere.
Biancaneve dal canto suo era andata con l' intenzione di gettarle in faccia tutta la sua felicità, per vendetta, ma quando la vide, così triste e sola, le parole le morirono in gola.
- Vi riverisco, Signora Madre e mia regina – disse invece, con un esitante sorriso. – Sono venuta a presentarvi vostra nipote, nata un anno fa grazie ai vostri buoni auspici.
Grimilde non capì, in principio. Poi vide il fagottino che si agitava impaziente accanto a Biancaneve, e notò che aveva gambe paffute e manine rotonde, una chioma nera e occhi attenti e vivaci.
La regina non era avvezza al perdono, e quindi non si rese conto subito di essere stata, in un attimo, perdonata. Solo dopo qualche minuto, con la piccola Alba che le sgambettava attorno curiosa accarezzando la sua lucida veste di seta, realizzò quello che stava accadendo.
E finalmente, dopo i lunghi anni passati con sua madre e quelli ancor più lunghi nella solitudine del Castello, Grimilde provò un po’ di calore nell’animo, e sorrise, forse per la prima volta nella sua vita.
E tre generazioni di Donne furono riunite
.
Favola molto bella, vista in un ottica femminile, ma con un significato che in realtà vale per tutti.
RispondiEliminaIl messaggio che contiene è prezioso in un'epoca come la nostra assolutamente bisognosa di riconciliazione.